Punto di partenza, e termine di paragone, in questo testo è la trattazione kierkegaardiana dell’angoscia come effetto – da cui è “affetto” il corpo – di un “difetto” specifico, e costitutivo, della costituzione umana.
E’ una trattazione quella kierkegaardiana che assume tutto il suo rilievo se considerata come momento della storia della critica della religione, presa come storia della critica del pensiero, allo stesso livello di quella di Feuerbach, di Marx, di Freud.
Delle tre possibilità esistenziali (estetica, etica, religiosa) che Kierkegaard individua, la soluzione religiosa è anzitutto critica della soluzione estetica nella sua mera dispersione in un mare di possibilità, e della soluzione etica, delle certezze morali e razionali dell’uomo che consacra la propria vita al lavoro e al matrimonio, essendo d’altronde riducibile a feticcio la cornice di una cittadinanza regolata dal diritto statuale in cui le due soluzioni sono recintabili. L’uomo religioso di Kierkegaard a sua volta, però, si incaglia senza risolverla nella questione, squisitamente individuale, che l’uomo estetico e l’uomo etico si limitano ad evitare: egli si arresta infatti in un’impasse angosciosa di fronte alla questione di una perfezione dell’ordine dell’esperienza pensato, proiettato, in un al di là delle proprie facoltà di elaborazione, che gli ritorna perciò come comando ineseguibile e dunque odioso.
Riferimento critico del testo sono le tesi elaborate ne Il Pensiero di Natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico da Giacomo B. Contri: in opposizione all’idea, dominante per tradizione secolare, di un difetto costitutivo nella natura umana, vi si sostiene, con Freud, la tesi di una originaria facoltà legislativa, il pensiero come “pensiero di natura”: “Il pensiero di natura è il pensiero – a un tempo morale, ontologico, giuridico, economico della soddisfazione o perfezione o successo del corpo nell’universo dei corpi, o anche della meta, ossia è il pensiero della legge di moto del corpo. […] È la capacità insita in una prima cittadinanza, i cui rapporti non attendono tutela dalle norme della seconda cittadinanza (comunemente nota come diritto statuale), semplicemente perché questa non saprebbe assicurarla, e neppure configurarla”
Secondo questa tesi è ammissibile l’idea non di un difetto ” originario, ma, ancora una volta con Freud, di una incompiutezza quanto alla difesa di questa individuale competenza legislativa: c’è un “lavoro di civiltà” che deve essere compiuto.